All’ultima Conferenza Nazionale di Statistica, tenutasi a Roma, tre ricercatori dell’Istat hanno presentato una ricerca su Intelligenza artificiale e lavoro per capire i mutamenti che verranno.
La prima evidenza riguarda lo scarso impiego dell’AI all’interno delle imprese italiane, con una stima del 5% di aziende che la utilizzano (contro una media europea dell’8%), di pari passo con la scarsa digitalizzazione del lavoro, che si riflette, di conseguenza, sulla carenza dell’utilizzo di questa nuova tecnologia all’interno dello stesso mercato del lavoro.
“AI divide”
Si può quindi parlare di “AI divide” come direttamente correlato al “digital divide” che caratterizza il mondo delle imprese nel nostro Paese. Tra gli aspetti da chiarire, ad esempio, gli impatti diretti dell’AI nel sistema produttivo del lavoro: emerge ad oggi per le imprese del settore manifatturiero che utilizzano l’AI un livello più elevato di produttività.
Da un lato, quindi, il rischio di perdite occupazionali in Italia non sembra essere imminente, dall’altro il fattore produttività potrebbe giocare un ruolo importante sulla competitività delle imprese.
Le soluzioni di AI adottate dalle imprese italiane risultano essere più spesso di una sola tipologia, che è generalmente collegata in maniera specifica all’attività economica svolta (60%). Queste imprese dimostrano anche di essere più inclini all’assunzione di risorse umane.
La ricerca ha tentato una prima classificazione delle professioni più esposte agli impatti di questa nuova tecnologia: in primis troviamo le attività di ingegneria e tecnica, poi quelle dell’informazione, ma anche, al quinto posto, i manager del settore alberghiero, del commercio e di altri servizi.