Di seguito un’anteprima della newsletter “Turismo: Tendenze e prospettive” – speciale cambiamento climatico, realizzata in collaborazione con SL&A, che propone aggiornamenti costanti sul turismo. Si concentra soprattutto sulle previsioni basate su dati, studi e ricerche affidabili.
NOI TUTTI AL CALDO
Anche se i negazionisti abbondano, è sotto gli occhi – e sulla pelle – di tutti che viviamo un caldo maggiore che in passato, e secondo le previsioni più autorevoli la tendenza è destinata a crescere. Indietro è difficile tornare, semmai si deve cercare di contenere la tendenza, soprattutto limitando l’inquinamento, l’impronta carbonica. Il cambiamento climatico si è reso molto tangibile non solo per i suoi fenomeni estremi (le siccità prima e le alluvioni dopo), quanto nella vita quotidiana delle persone, che siano essi normali cittadini, lavoratori o turisti. L’estate 2023 è formalmente già conclusa ma meteorologicamente no, ed ha fatto registrare, come le più recenti, lunghe ondate di calore che sono destinate a diventare la normalità, ed anzi aumenteranno per intensità, frequenza e durata. Tra il 2000 e il 2016, nel mondo, il numero di persone esposte a questo fenomeno è salito di circa 125 milioni (WHO 2023).
Le ondate di calore non sono solo un fenomeno climatico, ma anche un fenomeno sociale sia perché colpiscono in maniera diversa le persone rispetto alle loro caratteristiche socio-economiche (es. per età, reddito, settore occupazionale), sia perché hanno conseguenze sociali (es. sulla produttività del lavoro, sugli accessi ospedalieri ecc.), sia perché la loro gestione coinvolge anche le politiche sociali (da quelle sanitarie e abitative a quelle dei trasporti, ecc.). L’unico aspetto positivo di questi fenomeni estremi è che sono eventi prevedibili con una certa sicurezza e hanno effetti abbastanza prevenibili, dunque mitigabili con politiche e servizi adeguati e con una maggiore consapevolezza da parte dei cittadini sui comportamenti da adottare. E spingono il turismo verso una diversificazione di prodotto che sarebbe indispensabile anche senza cambiamenti climatici.
Le Vacanze
Anche la temperatura delle acque di superficie ne ha risentito, rendendo in molti casi meno gradevole la balneazione, e certamente non rinfrescante. L’anticipazione delle vacanze a luglio, la fuga degli Italiani dall’Italia ad agosto, le campagne pubblicitarie di diverse destinazioni (Trentino, Alto Adige, Carinzia) per promuovere l’autunno portano il segno di questo cambiamento e, per certi versi, del tentativo di cavalcarlo. Oltre alle consuete raccomandazioni per i soggetti deboli, anche la chiusura del Partenone nelle ore più calde della giornata è un chiaro segnale in questa direzione: accettazione dei fenomeni che non si possono contrastare, mitigazione degli impatti e dei rischi.
Le Montagne
I ghiacciai si sciolgono, e lo sci estivo diventa una chimera. Forse non è l’effetto più grave, ma certo è quello che nel turismo incide di più, con impianti chiusi e località che hanno perso il loro attrattore principale. Al contempo le località a quote inferiori, in particolare quelle appenniniche, vedono le loro stagioni invernali sempre più a rischio, ed affrontano faticose e tardive riconversioni. I grandi progetti di nuovi impianti restano nel cassetto, mentre nuovi turismi diventano obbligatori. Lo stesso bando del Ministero del Turismo del 2022 mirante a sostenere queste località con “proposte di intervento per il rilancio del turismo montano attraverso adeguamenti infrastrutturali, pianificazione e promozione di prodotti turistici in ottica di sostenibilità” va nella esatta direzione di un cambiamento epocale: sopravvivere anche senza neve, inventando nuove attrazioni e modalità di fruizione.
I Mari
Le previsioni di innalzamento dei livelli delle acque di superficie non sono rosee: si può trattare di fenomeni di subsidenza già sperimentati come nelle pianure costiere di Cervia e Ravenna, dei ripetuti e progressivi allagamenti che si è tentato di contrastare con realizzazioni imponenti come il MOSE a Venezia, fino al caso estremo del Pacifico dove interi arcipelaghi rischiano di affondare, ed in Indonesia è già in atto lo spostamento della capitale Giacarta per garantirne quantomeno la sopravvivenza amministrativa. Ma nell’ordinario molte coste sono a rischio di erosione (il 46% di quelle sabbiose, secondo Legambiente), con l’erosione di arenili che comportano difese sempre più diffuse ed imponenti, come scogliere artificiali, pennelli, soffolte.
Il modello tradizionale degli stabilimenti balneari è quello più a rischio, il che, insieme alla “maturità”, della villeggiatura, spinge anche in questo caso alla necessità di programmare ed allestire modalità diverse di fruizione, dalla ristorazione alle attività outdoor e agli sport. Per contro si rivalutano le acque interne, laghi e fiumi, sempre più attrezzate sia per la balneazione, che per una permanenza ludica in passato molto praticata, poi progressivamente abbandonata anche per un inquinamento industriale e civile incontrollato.
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- Le campagne: Il caldo crescente ha già inciso significativamente sia sull’agricoltura che sul turismo rurale, sia per i danni che ha arrecato, che in direzione di una de-concentrazione stagionale: quando fa troppo caldo le piante e le vacanze soffrono, le colture cambiano in senso “tropicale”, le destinazioni tradizionali rischiano di non essere così attrattive come in passato…
- Le città: Anche nelle città, oltre che nelle campagne, occorre ripartire dagli alberi. Uno strumento utile per correggere la rotta è quello della mappatura delle isole di calore, cioè di quelle aree urbane in cui le temperature sono più alte. Secondo uno studio pubblicato su The Lancet e basato su dati di 93 città europee, più del 4% dei decessi estivi del 2015 possono essere ricondotti a isole di calore; ma ipotizzando di coprire la superficie urbana per il 30% di alberi il numero di morti legate al calore calerebbe di più di un terzo. Un incremento del 30% è l’obiettivo che molte città europee si sono date…
- Il lavoro: Chi lavora in alcuni settori è particolarmente esposto alle ondate di calore. Lavoratrici e lavoratori impegnati in processi produttivi che producono calore, o all’aperto, come in agricoltura o edilizia o turismo, o che indossano abbigliamento o equipaggiamento di protezione pesante o, ancora, che non hanno la possibilità di procurarsi da bere: in questi casi il calore può essere considerato un rischio occupazionale…